Sinceramente non so da dove iniziare, ci sarebbe veramente un sacco da dire. Ho iniziato quest’avventura senza sapere cosa poi mi sarebbe potuto accadere.
Ho sempre adorato il basket, che per me ha rappresentato molto più di uno sport ma una sana via d’uscita alle tante distrazioni e difficoltà della vita.
Articolo di Mishil Nour
Ho sempre adorato i bambini, la loro innocenza, il loro non aver peli sulla lingua e il modo totale che hanno di amare o meno qualcuno. Con loro non si scherza: o sai conquistarli e guadagnarti il loro rispetto o sei tagliato fuori. Punto.
Tempo fa la mamma di un campioncino che alleno ha condiviso su facebook questo articolo intitolato ” La dura, durissima vita degli allenatori delle giovanili”.
Non ricordo di chi fosse, ma ne ho subito fatto una copia sul mio desktop perchè non solo mi era piaciuto tanto e descriveva perfettamente la situazione degli istruttori delle giovanili ma anche perchè sapendo che avrei dovuto scrivere due parole riguardanti i miei campioncini, mi sarebbe potuto tornare utile.
Ed eccolo qui il momento. Ringrazio infinitamente l’autore o l’autrice di quell’articolo (che vi consiglio davvero di leggere) poichè è davvero splendido e mi aiuterà tanto ad esprimere ciò che voglio dire (l’articolo intero, che vale davvero la pena leggere, clicca qui).
Io ne riporterò una versione ridotta:
“Nella vita di un allenatore delle giovanili ci sono due strade possibili: la prima è indicata dal cartello «Vincere!», la seconda dal cartello «Insegnare!». Più facile, molto più facile (anche se può sembrare paradossale) imboccare la prima. E infatti gli allenatori delle giovanili si dividono spontaneamente in due categorie: la prima raccoglie i numerosi seguaci del vincere ad ogni costo, la seconda, molto più sparuta, quelli dell’insegnare. Chi appartiene alla prima categoria ha vita facile. Invece di costruire mattone dopo mattone una buona pallacanestro, cosa faticosa per chi impara ma soprattutto per chi insegna, si trova davanti una marea di semplicissime scorciatoie. Che vanno dal prendere i due o tre ragazzi più grossi e metterli a battagliare in solitaria, dicendo ai compagni di servirli che poi ci pensano loro, fino allo spiegare che basta picchiare quando l’arbitro non guarda, o almeno quando lo consente, per mettere in crisi gli avversari. Scorciatoie come insistere sui punti di forza dei bambini o dei ragazzi evitando accuratamente di lavorare per correggere gli errori, colmare le lacune, aggiungere ogni settimana un pezzo in più alla costruzione del giocatore del futuro. Chi appartiene alla seconda categoria invece fa una scelta difficile, al limite della follia e dell’autolesionismo. Perde spesso e volentieri, a meno che alleni una delle poche squadre di altissimo livello che, facendo davvero selezione, scelgono i talenti fin dalla più tenera età per poi crescerli come il Dio del basket comanda. Siccome di solito questa fortuna capita a pochi, gli istruttori della seconda vanno in palestra e durante l’allenamento, invece di sedersi comodamente a dare indicazioni da bordo campo, si muovono come ossessi sul terreno di gioco per spiegare, imitare i movimenti, farli ripetere fino alla noia. Lavorano sui particolari. Dimenticano i punti di forza, o almeno li accantonano come un tesoretto intoccabile, per insistere sulle debolezze, per eliminarle, per trasformarle in mosse vincenti. Gli allenatori della seconda categoria sono quelli che, rinunciando a vittorie facili, costruiscono i giocatori. Che li mettono in condizione di rendere al meglio delle proprie possibilità, indipendentemente dal livello che sapranno raggiungere. Che li portano, alla fatidica età dei diciotto o diciannove anni, a finire le giovanili e ad entrare nei campionati senior: sul campo, non lato tribuna. Protagonisti completi dello sport che amano, mentre gli energumeni picchiatori di qualche anno prima guardano tristemente seduti tra il pubblico. Oppure, nel migliore dei casi, trascinano per campetti secondari l’unica cosa che sanno fare da vent’anni morendo di invidia nel vedere dove sei arrivato. Mentre sussurrano, con un sorriso pieno di tristezza: «Pensa! Quello lì, dieci anni fa, lo battevo tutte le volte che lo incontravo…». Gli allenatori della seconda categoria non lavorano per sé stessi, ma per il futuro: perché l’amore per quella maledetta palla arancione suddivisa in tanti spicchi possa durare il più a lungo possibile. Perché chiunque abbia giocato, o allenato, provando amore vero per il proprio sport sa che, una volta smesso, il profumo della palestra, il rumore del pallone che rimbalza sul parquet, il fruscio della retina non ti abbandoneranno. Mai. Ti accompagneranno per sempre. E avrai sempre la voglia di fare un ultimo tiro o di sederti ancora una volta sulla panchina per guidare una squadra. Un vecchio detto cinese recita: «Se un uomo ha fame e gli regali un pesce l’hai sfamato per un giorno. Se gli insegni a pescare l’hai sfamato per la vita». A tutti noi, genitori, la libera scelta di decidere cosa vogliamo per i nostri figli.
P.S. L’inventore della pallacanestro si chiama James Naismith. È stato il primo allenatore di questo sport. In molti, al suo posto, pur di vincere avrebbero cambiato le regole ogni volta: nessuno avrebbe potuto obiettare, visto che erano una sua idea. Ha guidato per dieci anni la Kansas University vincendo 55 partite e perdendone 60. Nella storia di quella squadra è l’unico head coach ad avere un record negativo.
JAMES NAISMITH AMAVA IL BASKET.“
Ecco! A inizio anno, quando da buon film americano, il classico allenatore si trova davanti la squadra da allenare composta da tutto quello che si può immaginare: quello/a velocissima, quello/a “pienotto”, quello/a che ha paura della sua ombra, quello /a che piange sempre ecc…era proprio questo quello che avevo in mente: “non sfamarli subito dandogli qualcosa, ma insegna loro a “pescare” per sfamarsi da soli”. Non rialzarli quando cadevano ma aiutarli a trovare dentro di loro la forza per rimettersi in piedi da soli. Non piangere quando ci si fa male, perché il dolore serve solo a rendere più forti. Non disperarsi o rabbuiarsi quando si perde, perché le sconfitte insegnano molto più delle vittorie e devono servire come stimolo per vincere la volta dopo.
Qui non parliamo più di basket, ma di vita. Molto spesso si fa l’errore di “ipertutelare” un bimbo o una bimba pensando di fare il loro bene. Li si cresce sotto la famosa “campana di vetro”. Bisogna però capire che così facendo quando loro si scontreranno con la “vita reale” l’impatto rischia di essere molto doloroso.
Ecco perchè il mio compito è sempre stato fin dall’inizio non era quello di vincere partite ma di dare a quei campioncini più strumenti possibili per affrontare ogni situazione cestistica e non. Per il raggiungimento di tutti questi obiettivi mi potevo servire di uno strumento meraviglioso qual’è il basket. Beh….cosa volevo di più? Inutile dire che anche loro hanno insegnato a me un’infinità di cose: a partire da cosa significhi “innamorarsi” nella sua forma più pura.
Ringrazio la Tumminelli Romana Basket per avermi dato questa opportunità, aver da subito avuto fiducia in me ed avermi affidato questo splendido gruppo di cui sono follemente innamorato.
Ringrazio il mitico gruppo di genitori per avermi dato immediatamente carta bianca nel relazionarmi coi ragazzi e avermi sempre supportato, incoraggiato e condiviso ciecamente ogni mia scelta tecnica e non.
Per quanto riguarda voi, miei splendidi campioni, vi ho preso che eravate tutti dei batuffoli innocenti che avevano bisogno di uscire definitivamente dal guscio. Mi avete seguito ciecamente e ora siete tutti dei meravigliosi ed impavidi guerrieri!
Abbiamo vinto una sola partita, ma il nostro percorso è stato sempre in crescendo. Come diceva l’articolo all’inizio, beh….è troppo facile giudicare da futili risultati cartacei!
Sono fierissimo di voi e del lavoro fatto insieme! Avete tutti un posto speciale nel mio cuore che nessuno mi porterà mai via!
Ciao Mishil, le tue parole e la tua passione mi hanno commosso.
Non sei l’allenatore di mio figlio ma conosco molti dei campioncini.
Vai avanti così! Da figlia di allenatore e sportiva, il tuo è il più bel messaggio: per vincere c’è tempo, mentre crescere è una sfida continua e va coltivata.
patrizia